“Portami in via Manzoni, a Roma”. Google Maps risponde e ti porta secondo l’opzione di marcia desiderata: ‘Più veloce’, ‘Più breve’, ‘Senza pedaggi’.
Una comodità epocale rispetto alle vecchie mappe, che ormai non abbiamo più in automobile, e pure rispetto alle tappe lungo il percorso, necessarie a chiedere informazioni stradali rivolte ai passanti che mostravano caratteri fisiognomici soggettivi di sufficiente comprendonio e di provenienza autoctona.
Eppure, per avere un’informazione giusta, dovevi passare da altre tre sbagliate, in media.
Quando, però, non funziona la connessione ai ‘dati mobili’ ci accorgiamo di non poter sostituire completamente le vecchie, utili mappe cartacee e rimpiangiamo il momento in cui le abbiamo rimosse dal cruscotto dell’auto.
“Adesso che le abbiamo online? Tutt’un’altra cosa”! Diciamo, con grande soddisfazione.
E internet, poi? Con i tanti browser disponibili (i nostri programmi di ricerca) si riesce a trovare informazioni su tutto! La mamma trova le ricette, il fratello piccolo vi scopre le risposte utili per fare (e anche per non fare) i compiti scolastici.
Poi c’è la pizza del sabato sera, che occupa un posto tutto privilegiato nella scala dei valori del web: Vai sulla APP del ‘Delivery’ preferito e, se non vuoi uscire per consumarla in pizzeria, l’ordinazione te la portano a casa.
Si, ci sarebbe pure il telefono per impartirla a voce, ma l’integrazione informativa della APP, tra la scelta degli ingredienti, l’informazione precisa sui tempi di attesa e soprattutto l’assistente a tua completa disposizione, che ti guida fino alla contestuale richiesta d’ordine delle portate (che ti vengono portate puntualmente a casa), non è nemmeno paragonabile alla telefonata di prenotazione.
Di sabato, poi! Ti risponderebbe al telefono una cassiera, già frastornata dal resto pagato in monetine rotolanti verso un cliente in presenza, contemporaneamente interrotta dal ragazzino che le chiede una bevanda fresca e da quell’altro che vuole sapere se “hanno la pizza con l’acciughina”.
Costei, in quel frangente, dovrebbe pure dare la conferma dei tempi di recapito previsti, dopo aver berciato la ‘comanda’ all’indirizzo di un pizzaiolo, più rintronato di lei dal caldo del forno e dalle voci urlate degli avventori.
No, non c’è paragone! Vada per la APP.
Non mi addentro sul tema sentito dei Social, utilizzati anche dai più ‘asocial’ tra i miei concittadini, ma, ai vantaggi dell’informatica, aggiungerei l’irrinunciabile efficienza della posta elettronica e di quella certificata, che sostituisce le raccomandate e abbrevia le code agli sportelli postali.
Ormai, anche le prenotazioni sanitarie si fanno via internet. Non fa niente che la ASL Puglia risponde sistematicamente “Non ci sono prenotazioni”, anche per le prestazioni urgenti, ma apprenderlo da un computer ti risulta meno antipatico della stridula voce di un call center cantilenante, pronto a sbatterti il telefono in faccia facendo cadere inesorabilmente la linea appena la comunicazione si fa un tantino scomoda.
Bene. Tutto bene, allora, con questo Internet. Si, ma qualcosa non torna.
Quanti si sono accorti che Google Maps sta sbagliando, sempre più spesso, recentemente?
Chi si affidava completamente alla tecnologia dei navigatori online, in continua innovazione, si è fatto ora più circospetto dopo che un tragitto impostato, della durata dei soliti dieci minuti, diventasse di un’ora per essere passati da ‘proprio-tutti-i-paesi-che-stanno-in-mezzo’.
A quel punto, abbiamo iniziato a confutare il ‘Verbo’ di Google, sostituendolo sempre più spesso con un altro verbo più triviale, sempre all’indirizzo di Google, per mandarlo dove meritava.
Forse, qualcuno o qualche controllore artificiale sta già monitorando le nostre reazioni per valutare il momento in cui saremo ‘ciberneticamente cotti a puntino’, ovvero totalmente dipendenti da quell’assistenza ausiliaria, utilizzata come se fosse un’appendice esterna del nostro cervello.
A quel punto, i ‘Googoliani’ dell’omonima azienda potrebbero interrompere accidentalmente il servizio che, non a caso, è totalmente gratuito e, quindi, non rivendicabile ad alcun fornitore in forza di nessun contratto. FINITA LA PACCHIA!
Non ci sarebbero tribunali che tengano, se l’azienda decidesse di interrompere il suo servizio, affatto retribuito monetariamente dagli utenti, ma solo con le pubblicità e i servizi di Cloud (l’immagazzinamento dei dati dei clienti), soprattutto se quegli stessi tribunali non si sono mai accorti della relativa posizione dominante e le hanno concesso finora l’esercizio di un cartello mondiale.
“Lo paghi Google? No? E allora vai tu a fare il Google”! potrebbero rispondere se avessero un servizio clienti in grado di replicare!
L’esclamazione del capoverso precedente acquista una maggiore scontrosità assonante, se la si ripete velocemente.
La domanda su “che motivo mai porterebbe una società commerciale a interrompere i suoi lauti guadagni” risiede in un’alea bellica, di cui non se ne ravvisano ancora avvisaglie militari, ma che sono sempre più intrecciate alla vita civile, per questo sempre meno civile.
E allora, quando ci ‘taglieranno i fili’ dell’intelligenza artificiale posticcia, non resterà che farsene impiantare una endocrina o sottocutanea, se non si vuol restarne sguarniti.
Il disegno finale potrebbe essere quello.
Ci sono dei competitor, in effetti, di Google ma la continuità di un servizio attiene a modelli di mercato che, al momento, non vedo nel panorama.
Per far intendere, pur sommariamente, quanto Google domini la piazza mondiale, s’immagini che quel nome è assurto al rango di neologismo, nella lingua inglese: “What are you Googling?” intende chiedere cosa si stia cercando su internet (indipendentemente dal motore di ricerca usato), denominando l’azione per antonomasia.
AI, AI! è l’interiezione lamentata tardivamente che esprime l’avvenuta perdita delle primigenie facoltà mentali, messe a riposo da un uso indiscriminato e pervasivo di ciò che avrebbe, al limite, potuto aiutarle e non avrebbe mai dovuto sostituirle!
L’acronimo, così esclamato, è proprio quello che designa l’ “Artificial Intelligence’.
Questo articolo, come fanno tutti, è stato trasmesso in redazione via “File Transfer” sul sito internet della Testata e l’immagine, in epigrafe, è stata selezionata da un Cloud e prelevata online.
Quindi, disattivare internet equivarrà anche a chiudere questa forma di libertà d’informazione, per come si è connaturata nel tempo, se e quando un eventuale regime lo deciderà, iniziando a chiudere il rubinetto di un gestore.