Tornato in Italia dopo l’esperienza in Brasile, «ho trovato qualcosa in positivo, ma molto più gli effetti negativi di un certo progresso, in cui tutto era affidato al binomio produzione-consumo, a scapito in primo luogo della dignità della persona, quindi della sicurezza, della salute. Abbiamo dovuto celebrare troppi funerali di dipendenti di Ilva e di altre imprese, e poi anche di bambini».
Così l’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro in una intervista a Nuovo Dialogo, giornale dell’Arcidiocesi, in occasione del 50esimo anniversario di sacerdozio. Domani, alle ore 19, nella Concattedrale di Taranto, Santoro presidierà la santa messa di ringraziamento in cui viene annunciata la partecipazione di «vescovi, sacerdoti e parenti».
Monsignor Santoro fu ordinato sacerdote a Bari il 20 maggio 1972. A Taranto dal 2012, è stato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di San Sebastiano di Rio de Janeiro e vescovo della diocesi di Petropolis, in Brasile. Santoro ha parlato nella sua intervista dell’auspicio «che la pandemia possa essere superata, perché ancora non lo è. E’ – ha aggiunto – come un momento di passaggio in cui, con le dovute cautele si riprende la vita a tutto ritmo, si riprende una cura più intensa dell’ambiente, del lavoro, della gioventù, che qui è costretta a emigrare. C’è il problema della corretta utilizzazione delle risorse che, grazie al Pnrr sono finalmente destinate anche al Sud e al nostro territorio. Taranto – ha osservato l’arcivescovo – diventa punto di riferimento per grandi investimenti: la Zes, il Cis e io dico che tutto questo deve ripartire dalla Città vecchia. L’altro aspetto è che tutto questo cade in tempo di guerra: è la grande ferita che ci portiamo dentro». Santoro ha spiegato di aver avuto nella sua «preparazione due presenze fondamentali: don Divo Barsotti e don Luigi Giussani». Quest’ultimo gli ha «dato il ‘metodo’ della fede, cioè il modo in cui la grandezza del cristianesimo poteva essere vissuta, vale a dire in un rapporto personale compiuto nell’esperienza della comunità».