Penalista milionario, ma reddito da operaio

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Dichiarava redditi da operaio ma era tra i più noti penalisti di Bari, con parcelle da centinaia di migliaia di euro, tanto da aver accumulato beni per sé e per la sua famiglia per milioni di euro.

Parte di questo denaro non dichiarato al fisco sarebbe stato custodito in sacchi sottovuoto all’interno di zaini trovati in casa del figlio quando, circa un anno fa, l’ex penalista barese Giancarlo Chiariello, da allora sospeso dalla professione, è stato arrestato per presunte tangenti pagate all’ex gip del Tribunale di Bari Giuseppe De Benedictis in cambio di scarcerazioni di alcuni clienti.

Vicenda per la quale Chiariello rischia a Lecce una condanna a 8 anni e 5 mesi di reclusione per il reato di corruzione in atti giudiziari con l’aggravante mafiosa. Dai successivi accertamenti patrimoniali disposti dai magistrati di Bari dopo il ritrovamento di quel denaro, più di un milione di euro in contanti, è emerso che l’ex penalista aveva almeno 239 clienti dai quali si sarebbe fatto pagare onorari fino a 100 mila euro. Al fisco, però, avrebbe dichiarato dal 2014 al 2019 redditi tra i 26 mila e i 60 mila euro annui, ritenuti dalla Procura di Bari “irrisori rispetto al giro di clienti vantato”.

Per questo, con l’accusa di dichiarazione infedele dell’Iva e delle imposte sui redditi dovute all’Erario, la guardia di finanza ha sequestrato case e conti correnti del valore complessivo di oltre 10,8 milioni di euro. Oltre alle verifiche contabili, i finanzieri, su delega del procuratore Roberto Rossi e del sostituto Giuseppe Dentamaro, avevano sequestrato nello studio legale, ormai chiuso, gli elenchi dei clienti, tra i quali ci sono alcuni pregiudicati poi diventati collaboratori di giustizia.

Proprio questi, sentiti dagli inquirenti, hanno rivelato il “tariffario” delle parcelle pagate a Chiariello: tra i 4 e i 7 mila euro per accettare la nomina difensiva, 15 mila euro per un ricorso in appello, “su un omicidio ci volevano 100 mila euro” ha detto l’ex boss del clan Palermiti di Bari Domenico Milella. E poi, 30 mila euro per una scarcerazione secondo Danilo Pietro Della Malva, anche lui imputato a Lecce per le presunte tangenti all’ex gip.

Era stato lo stesso avvocato, interrogato dopo l’arresto dai pm salentini, ad attribuirsi la paternità del denaro trovato a casa del figlio, definendolo i “risparmi di vent’anni” derivanti dai pagamenti dei clienti per l’attività professionale prestata “nel corso del tempo che, per ovvie ragioni, non poteva depositare in banca”. Secondo i magistrati tutti quei contanti intascati in nero erano “destinati ad essere occultati altrove”, come dimostra il fatto che erano divisi in borsoni pronti per essere trasportati e messi sottovuoto per resistere all’umidità.

Una quantità di denaro che avrebbe consentito al penalista e alla sua famiglia di “mantenere un tenore di vita ben al di sopra del fatturato e tanto ha fatto, indisturbato, per diversi anni, a dimostrazione della sua capacità di occultare quel denaro e reimpiegarlo altrimenti”, acquistando cioè auto di lusso, gioielli, titoli di credito, obbligazioni, depositi e conti correnti, oltre agli immobili sottoposti oggi a sequestro su disposizione della gip di Bari Valeria Isabella Valenzi.

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