Parlare delle carceri e dei detenuti è molto pruriginoso, scontato e seccante. Le motivazioni risiedono soprattutto nella poca fiducia verso l’amministrazione giudiziaria. E’ opinione comune che in carcere si vada perché si è un fessacchiotto, o perché sei un capro espiatorio, o perché non puoi permetterti un avvocato di peso. Ma di sicuro non ci stai per molto fatta eccezione per taluni tipi di reato.
Ne ho visti di istituti di pena, l’Ucciardone di Palermo, il Poggioreale a Napoli, il Fornelli di Bari, il super carcere di Trani, il Regina Coeli di Roma anche il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Luoghi ameni dove regna l’assoluta negazione: io sono innocente!!! Ti verrebbe da ridere, ma non si ride, sono comunque esseri umani anche se condannati per reati spregevoli.
Il primo impatto che accusi visitando un istituto di pena è la percezione netta che in quelle mura difficilmente ne uscirai rieducato pronto a riprenderti la vita nella tue mani. Un altro aspetto davvero sgradevole è l’affollamento delle celle, fatiscenti, con 4-6-8 anche dieci detenuti , ammucchiati piuttosto che reclusi. Un problema annoso, dannoso e pare irrisolvibile, almeno fino al prossimo condono giudiziario. Intanto tu la pena non la sconti tutta. Così accade che ci ritroviamo insieme in giro per la città e io vittima , passo per l’infame.
E’ di pochi giorni fa la nomina a Presidente della Consulta di Giuliano Amato ed uno temi toccati insieme alla ministra Cartabia è proprio il sovraffollamento delle carceri e delle condizioni dei carcerati. Perché ne hanno parlato? E’ un dovere istituzionale o all’orizzonte c’è altro? Ecco che la questione diventa pruriginosa.
E’ meglio costruire più carceri o prevedere forme alternative alla carcerazione? Intanto sappiate che la legge italiana in merito alla custodia cautelare è piena di benefit verso i carcerati. Secondo il vigente regolamento di esecuzione il magistrato di sorveglianza, concede ai detenuti meritevoli, maggiori possibilità di interagire con la propria famiglia: più telefonate, contatti video con i social, più colloqui in presenza e la possibilità di scontare la condanna nel territorio di residenza della famiglia. Ma il vero vantaggio è la fruizione dai 45 a 90 giorni l’anno di pena ridotta , significa che ogni anno anziché essere di 12 mesi in realtà potrebbe essere 9/10 mesi – non male vero!
Nella relazione della Ministra Cartabia al Parlamento si legge: ”Il sovraffollamento: ad oggi su 50.832 posti regolamentari, di cui 47.418 effettivi, i detenuti sono 54.329, con una percentuale di sovraffollamento del 114%”.
Ovviamente calcoli, algoritmi, operazioni matematiche ma alla fine è sempre difficile sapere chi e per quali reati in realtà è in carcere. Poche volte l’amministrazione giudiziaria si è prodigata ad analizzare le persone e i loro drammi, in effetti è complesso. Poi a chi interessa?
A fronte di una realtà così controversa la Cartabia promette interventi e soluzioni. Alle parole seguiranno fatti in tempi certi e veloci? Noi ci auguriamo che non vengano presi i soliti provvedimenti che tanto fanno bene alla politica e al politico di turno, visto che l’anno prossimo ci sono le elezioni.
Ma delle vittime si parla abbastanza? Ci sono calcoli statistici in cui si evidenziano i dolori per il torto subito? Ci sono algoritmi che stabiliscano quante vittime vengono maggiormente perseguitate dai criminali e loro affiliati? Ci sono calcoli algebrici che sottolineano quanto perdono in termini di tempo, denaro, affetti, ecc.? Ci sono tavole rotonde in cui si parla del reinserimento delle vittime? Ci sono corsi di formazione per futuri informatori i quali dovrebbero sostenere le vittime? A me pare che oltre il danno c’è la beffa e l’ulteriore danno. La gente comune, onesta, laboriosa, religiosa di ogni credo, spera nel proprio intimo che dalle carceri non si esca più, per il male subito non si perdona è l’umano desiderio.
Franco Marella